• La Thomas Dane Gallery di Napoli è onorata di presentare Father and Son, di Akram Zaatari, che aprirà ad aprile 2024; la terza di Zaatari con la galleria, e la prima grande mostra personale dell’artista in Italia.       

     

    Akram Zaatari (nato nel 1966 a Saida) ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’infrastruttura formale, intellettuale e istituzionale della scena artistica contemporanea di Beirut. Ha prodotto più di cinquanta film e video, una dozzina di libri e innumerevoli installazioni di materiale fotografico, tutti accomunati dall’interesse per la scrittura di storie e dalla ricerca di documenti e oggetti, tenendo traccia del loro passaggio di mano, del recupero di narrazioni e collegamenti mancanti che sono stati nascosti, smarriti, persi, ritrovati, sepolti o scavati. L’azione stessa dello scavare è diventata emblematica della sua pratica, mentre agisce per ripristinare le connessioni perse nel tempo o a causa di guerre e dislocamenti. Zaatari ha dedicato una cospicua parte del suo lavoro alla ricerca e allo studio delle pratiche fotografiche nel mondo arabo e ha contribuito senza compromessi al più ampio discorso sulla conservazione e sulla pratica archivistica. 

  • Radicata in questa pratica di ricerca, la mostra di Zaatari a Napoli ripercorre il concetto della ‘restituzione’ nel lavoro dell’artista, espresso principalmente attraverso testi, documenti e fotografie che rivisitano descrizioni e ricreano oggetti o legami un tempo esistenti e ora andati perduti. La mostra presenta opere degli ultimi vent’anni realizzate con diversi media, a partire dal video di due ore Ain el Mir (2002), in cui l’artista cerca una lettera sepolta che non ha mai raggiunto la sua destinazione. Si passa poi all’opera più recente di Zaatari, Father and Son (2024), in cui i sarcofagi di due re fenici (padre e figlio), separati dall’antichità, vengono riuniti. Il progetto è accompagnato da una serie di nuove opere su carta che guardano al Mediterraneo come luogo di scambio, sradicamento e movimento attraverso i millenni. 

     

    Tra queste opere Archeology (2017), Photographic Currency (2019) e Venus of Beirut (2022) e un nuovo lavoro, Ibrahim and the Cat, For Inji Efflatoun (2024), sono tutti impegnati nel processo di ri-creare oggetti scomparsi o mai prodotti. Il bassorilievo in ottone Ibrahim and the Cat – realizzato con artigiani di Napoli – dà nuova forma a una fotografia dimenticata scattata dal padre dell’artista egiziano Inji Efflatoun per realizzare un dipinto che non vide mai la luce. 

     

    L’idea di Zaatari di ‘dar vita a cose che non esistono nel presente’ si applica anche alla ri-creazione di un monolite di pietra utilizzato per sigillare la tomba del re Tabnit, completamente distrutto quando il di lui sarcofago fu tirato fuori nel 1887.  All that Refuses to Vanish: The Tabnit Monolith (2022) è stato realizzato a partire dai disegni e dagli appunti lasciati dallo statista e pittore ottomano Osman Hamdi durante i suoi scavi nella necropoli di Sidone.  

     

  • Father and Son: A Mother’s Voice, 2024 

    mirror, blank printed forex, wood, black semi-refractory porcelain stoneware, led light, print, acyrlic paint 

    270 x 350 x 185 cm. 

    106 1/4 x 137 3/4 x 72 3/4 in. 

  • Father and Son è il titolo di un gesto performativo che un tempo mirava a riunire i sarcofaghi del re Tabnit, attualmente esposto al museo di Istanbul, e quello di suo figlio, il re Eshmunazar II, attualmente al Louvre di Parigi. In prima istanza i due sarcofaghi furono portati dall’Egitto a Sidone prima del 500 a.C. e riutilizzati da una famiglia di re cananei per seppellire i reali. Si tratta di sarcofaghi antropoidi tipici del tardo periodo egizio, scolpiti in pietra di anfibolite nera sotto la XXVI dinastia. Una volta a Sidone, la superficie esterna del coperchio del sarcofago di Eshmunazor fu raschiata per intero, cancellando un testo funerario in egiziano antico, prima di essere inciso con ventidue righe in fenicio. L’iscrizione in egiziano antico sul sarcofago di Tabnit è stata trovata intatta; un breve testo in fenicio è stato iscritto ai piedi del sarcofago. 

     

    I due sarcofaghi sono emersi da due scavi distinti condotti in luoghi diversi di Sidone in due date diverse, a 32 anni di distanza. Hanno avuto luogo prima e dopo l’introduzione della legge ottomana sulle antichità del 1884. Per questo motivo l’esportazione del sarcofago di Eshmunazor II, ritrovato da Alfonse Durighello nel 1855, fu perfettamente lecita, secondo le leggi dell’epoca. Il sarcofago di suo padre fu rinvenuto nel 1887 all’interno di una tomba scoperta da un muratore locale di nome Muhamad al-Sharif (Mehmet Sherif), che segnalò il ritrovamento di reperti archeologici ai funzionari del wilayet 

     

    Così fu che Osman Hamdi Bey, artista e fondatore del Müze-i Humayun di Costantinopoli, giunse a Sidone con la missione di dissotterrare e spedire i reperti. Il ritrovamento del sarcofago di Tabnit ha fornito al mondo importanti indizi su come potesse apparire il sarcofago di Eshmunazor prima che venisse rasato.  

     

    Father and Son: A Mother’s Voice riunisce, metaforicamente, i sarcofagi di padre e figlio in un allestimento che racconta le loro attuali esposizioni a Parigi e Istanbul. L'installazione è una sorta di "oggetto informato" che commemora il tentativo di una madre di iscrivere sé stessa nella storia attraverso il testo funerario del figlio, e di traslare la percezione della discendenza padre/figlio nella direzione di una trinità. 

     

    Momento 1 

    18.04.24 

    Il titolo Father and Son richiama la discendenza, la continuità e il trasferimento da maschio a maschio di conoscenze, eredità o potere. Tuttavia implica l’esistenza di una terza figura cruciale per la riproduzione: quella della madre, che non è menzionata nell’iscrizione di Tabnit ma che viene messa in evidenza nel testo funerario del figlio, di cui potrebbe essere stata autrice o committente. Emashtart, sacerdotessa di Astarte, deve aver svolto un ruolo importante nell’assicurare che il marito e successivamente il figlio fossero sepolti secondo i loro desideri. Ma dopo di loro perse il potere, e Bodashtart, nipote di Tabnit, diventò re. Il testo funerario di Eshmunazor II suggerisce che, dopo la morte del marito, ella abbia avuto un ruolo sempre più influente, che abbia condotto una guerra ed eretto un tempio per la divinità cananea Eshmun. L’ipotesi è che Emashtart sia stata sepolta in un sarcofago nero incompleto e senza iscrizioni, ritrovato nello stesso ipogeo della tomba di Tabnit 

     

    Questa prima fase dell’installazione è una rappresentazione del sarcofago di Eshmunazor II ispirata alla sua esposizione del 1997 presso la Crypte Marengo, al Museo del Louvre, a 3212 km da Sidone. È rappresentata schematicamente ponendo in evidenza il graffio sulla palpebra inferiore, che nell’espressione del viso scolpita nella roccia nera restituisce l’idea del pianto, mentre l’importante iscrizione in fenicio è dislocata, specularmente, nella sua ombra.  

     

    Momento 2 

    20.05. 24 

    Il secondo momento di questa installazione celebra il ritrovamento del sarcofago del re Tabnit, trentadue anni dopo il rinvenimento di quello del figlio.  

     

    Il sarcofago è oggi esposto al Museo di Istanbul: è disteso orizzontalmente a 969 km da Sidone. La sua installazione, trentadue giorni dopo il momento 1, indica, simbolicamente, il trascorrere di trentadue anni. Tabnit è rappresentato come un bassorilievo, disteso sul pavimento dietro il sarcofago del figlio, in modo che i due proiettino un’unica ombra, con le iscrizioni fenicie presenti su entrambi i sarcofagi. Data la loro posizione in due musei nazionali che hanno ereditato molti degli attriti tra la Francia e l’Impero Ottomano, ovvero il Museo del Louvre e quello di Istanbul, questa specifica installazione dei due sarcofaghi rappresenta il tentativo di superarne l’impossibile riunione reale. I due sarcofagi sono qui uniti in un’unica ombra che li fonde in uno spazio immaginario il quale a sua volta forgia uno spazio per la madre, in modo che l’insieme venga percepito come una trinità. 

  • An Extraordinary Event, 2018 inkjet print, in 8 parts 44.6 x 35.7 x 3.5 cm. 17 1/2 x 140 1/2...

    An Extraordinary Event, 2018 

    inkjet print, in 8 parts  

    44.6 x 35.7 x 3.5 cm. 

    17 1/2 x 140 1/2 x 1 ½ in. 

    Photographs are based on Abdul-Hamid Album #91533. Courtesy of Rare Books Library, Istanbul University. 

  • Osman Hamdi Bey riuscì ad estrarre 17 sarcofaghi dalla necropoli di Sidone ad Ayaa, nel 1887. Questi furono esposti nel...

    Osman Hamdi Bey riuscì ad estrarre 17 sarcofaghi dalla necropoli di Sidone ad Ayaa, nel 1887. Questi furono esposti nel vicino agrumeto di Chibli Abela. L’agrumeto divenne un temporaneo museo all’aperto per l’esposizione dei reperti archeologici, prima che essi fossero trasportati a Costantinopoli via mare. Hamdi Bey aveva con sé una macchina fotografica e scattò delle fotografie che finirono per far parte della collezione di album del sultano Abdulhamid: essi documentavano aspetti della vita moderna dell’impero, compresa l’archeologia. Queste otto fotografie sono basate su otto pagine dell’album, contrassegnato dal numero 91533. In queste fotografie compaiono operai, contadini e membri delle autorità del wilayet. Hamdi Bey non viaggiava con la sua ingombrante macchina fotografica per fotografare persone; era interessato a fotografare reperti, nondimeno non era turbato dalla presenza di esseri umani, che spesso contribuivano a fornire alle fotografie una scala dimensionale.  

     

    Sicché An Extraordinary Event gioca con due presenze: da un lato i reperti, ritrovati dopo duemila anni trascorsi nel buio e che ora risplendono al punto da non essere quasi più visibili; dall’altro le persone, gli alberi di agrumi, la terra e tutto ciò che circonda gli oggetti archeologici, tutti testimoni, probabilmente per la prima volta, della presenza di una macchina fotografica.  

     

  • Questa è una fotografia scattata da Osman Hamdi Bey che mostra l’iscrizione fenicia incisa ai piedi del sarcofago in cui...

    I, Tabnit, 2024

    inkjet print, acrylic  

    52 x 74 cm. 

    20 1/2 x 29 1/4 in. 

    Photograph based on Abdul-Hamid Album #91533.  

    Courtesy of Rare Books Library, Istanbul University. 

    Questa è una fotografia scattata da Osman Hamdi Bey che mostra l’iscrizione fenicia incisa ai piedi del sarcofago in cui fu ritrovata la mummia del re Tabnit, subito dopo lo scavo nella necropoli di Sidone ad Ayaa, nel 1887. L’iscrizione fu poi consegnata allo storico francese Ernest Renan perché la traducesse. La fotografia era inclusa in uno degli album del Sultano Abdulhamid il numero 91533, interamente dedicato agli scavi della necropoli di Sidone. La pagina recava un’unica didascalia in caratteri ottomani.  

     

    I Tabnit è una ricostruzione di quella pagina dell’album, in cui l’iscrizione è stata ridotta al suo intento: identificare la persona sepolta e maledire chi ne disturba il sonno. Zaatari ha tradotto la versione modificata di questa iscrizione nelle tre lingue che corrispondono ai protagonisti della storia, Libano, Francia e Turchia, e ha incluso la traduzione inglese nell’immagine stessa insieme ai nomi dei protagonisti di questa scoperta archeologica, ossia Mehmet Sherif, il muratore che trovò la necropoli, Hamdi Bey, che la dissotterrò, ed Ernest Renan, che tradusse il testo fenicio. 

  • Quando Osman Hamdi Bey iniziò a scavare nella necropoli di Sidone, nel maggio del 1887, si imbatté in un pozzo...

    All that Refuses to Vanish: The Tabnit Monolith, 2022 

    3D-Routed hand-polished Spuma Limestone, Bchaaleh, North Lebanon, rope, crane 

    300 x 216 x 153 cm. 

    Stone dimensions: 34 x 69 x 32 cm 

    Quando Osman Hamdi Bey iniziò a scavare nella necropoli di Sidone, nel maggio del 1887, si imbatté in un pozzo che conduceva a due stanze una dozzina di metri sotto terra. Una delle stanze era vuota, fatta eccezione per il pavimento coperto da grandi piastrelle di pietra che, una volta rimosse, portarono alla luce un imponente monolite di 342 x 170 x 160 cm. Hamdi Bey dovette sacrificare quel monolite riducendolo in pezzi per poter raggiungere quel che si nascondeva sotto di esso, che alla fine risultò essere il narcofago del re Tabnit.

     

    Nel 1892, Hamdi Bey fu coautore, con Theodore Reinach, di una pubblicazione che raccontava la storia degli scavi della Necropoli di Sidone e includeva un disegno dettagliato del monolite, che servì da riferimento per ricrearlo in scala ridotta (1:5). Aveva scolpiti sui lati otto canali semicircolari, suggerendo l’idea che fossero stati usati per calare il monolite in sede mediante delle corde. La presentazione di All that Refuses to Vanish propone l’idea di utilizzarli per appendere la pietra con un’unica corda. 

  • Per molto tempo archeologia ha significato ricerca ed estrazione di reperti dal sottosuolo. Molto spesso finiva col confliggere con aspetti...

    Above and Below, 2024  

    porcelain tiles, in 2 parts  

    80 x 40 cm. 

    31 1/2 x 15 3/4 in. 

     

    Per molto tempo archeologia ha significato ricerca ed estrazione di reperti dal sottosuolo. Molto spesso finiva col confliggere con aspetti della cultura vivente in superficie, come la realizzazione di progetti urbani, industriali o agrari di vitale importanza. Procedere con gli scavi archeologici ha sempre implicato una negoziazione di priorità che trova forma concreta in quest’opera, intesa come un’allegoria di Above and Below.

     

    In quest’opera le radici di un albero di limoni abbracciano un oggetto d’oro. Estrarre l’oggetto implica sacrificare l’albero. Conservare l’albero significa lasciare l’oggetto sottoterra. C’è chi pensa che un albero sia sostituibile e chi invece vede in esso una forma di vita unica. Quest’opera rappresenta questo dubbio 

     

  • Nel 2002 Zaatari ha realizzato questo video di una scena di scavo continua, che si svolge nel giardino di una...

    Ain El-Mir, 23.11.2002, 2002 

    Video, mono sound 

    154 minute  

    Nel 2002 Zaatari ha realizzato questo video di una scena di scavo continua, che si svolge nel giardino di una casa di famiglia ad Ain el Mir, a pochi km a est di Sidone. Lo scavo documenta la ricerca di una lettera che sarebbe stata sepolta nel giardino da un membro di un gruppo di resistenza, e indirizzata ai proprietari. La famiglia era stata sfollata dalla propria casa nel 1985 e i combattenti della resistenza vi si erano insediati.

     

    Nel 1991, quando la guerra finì e ai gruppi di resistenza fu chiesto di sgomberare l’area, Ali Hashisho scrisse una lettera ai proprietari dell’abitazione che li aveva ospitati, assicurando loro di aver avuto cura della loro casa. Seppellì la lettera nel giardino e non vi fece più ritorno. Zaatari ha girato un film su questa storia intitolato In This House (2005), in cui sono state utilizzate solo alcune parti della scena dello scavo. L’esposizione presenta la registrazione nella sua interezza.  

  • Archeology, 2017 Pigment inkjet print on gelatin treated glass, acrylic medium and sand Floor standing preservation flood light 210 x...

    Archeology, 2017 

    Pigment inkjet print on gelatin treated glass, acrylic medium and sand  

    Floor standing preservation flood light 

    210 x 317 x 115 cm. 

    82 3/4 x 124 3/4 x 45 1/4 in.  

    Photograph courtesy of the Arab Image Foundation 

  • L’opera Archeology evoca allo stesso tempo l’eccitazione e il disappunto di un archeologo al momento dello scavo di un manufatto...

    L’opera Archeology evoca allo stesso tempo l’eccitazione e il disappunto di un archeologo al momento dello scavo di un manufatto recante un ritratto fotografico deteriorato, al quale mancano parti essenziali. L’opera riproduce una lastra di vetro dello Studio Anouchian di Tripoli (Libano). La lastra di vetro originale fu esposta negli anni ‘40 e mostra un atleta nudo fotografato da Antranick Anouchian (1908 - 1991). La lastra è stata recuperata da un collezionista, Mohsen Yammine, dallo studio allagato del fotografo negli anni ‘90. Zaatari ha ricreato questo oggetto andando ben oltre le sue dimensioni originali (11,9 x 8,9 cm) per riprodurre l’emozione del suo primo incontro con la lastra, mentre sfogliava la collezione di Yammine nel 1998, e poco prima che l’oggetto entrasse a far parte della collezione della Arab Image Foundation, alla quale è tutt’oggi in prestito. Archeology è intesa come una presentazione soggettiva e aumentata di un oggetto fotografico. Con l’aggiunta di strati di vetro rotto, metallo, sabbia e medium acrilico, l’opera è stata realizzata in modo da sembrare un manufatto appena dissotterrato. 

     

    Archeology è parte integrante del più ampio corpus di opere di Zaatari: Against Photography: An Annotated History of the Arab Image Foundation.

  • Utilizzando le fotografie come mezzo per riprodurre i motivi tradizionali delle trapunte, Photographic Currency riporta in vita un’economia locale e...

    Utilizzando le fotografie come mezzo per riprodurre i motivi tradizionali delle trapunte, Photographic Currency riporta in vita un’economia locale e una tradizione che va scomparendo. Mentre lavorava all’archivio del fotografo Hashem el Madani, Zaatari ha messo da parte le fotografie dei fabbricanti di trapunte davanti ai loro manufatti nei vecchi souk di Saida, nei primi anni Cinquanta. Molto spesso i creatori di trapunte tradizionali, e talvolta i loro amici, si facevano fotografare in piedi accanto alle trapunte appena terminate, sia per celebrare il risultato raggiunto, sia per tenere traccia delle fogge delle trapunte prima che queste venissero vendute. Le trapunte erano imbottite di cotone e i disegni delle cuciture erano tali da far sì che il cotone rimanesse uniformemente distribuito sulla superficie della trapunta, sicché una necessità di fabbricazione si trasformava in un disegno creativo. I produttori conservavano le fotografie in modo da poterle mostrare ai clienti che desideravano ordinare nuove trapunte in un mercato relativamente piccolo. Durante la sua ricerca per identificare i nomi degli artigiani che posavano per Madani, Mustafa Al-Qady in molte fotografie riconobbe suo padre, ed è per questo motivo che Zaatari ha deciso di commissionargli la realizzazione di tutte le trapunte qui esposte. 

     

    Il progetto è stato prodotto per La Vitrine, un window setup dedicato alla presentazione di opere d’arte a Beirut. L’idea era di utilizzare quello spazio al modo in cui tipicamente si utilizza una vetrina: l’esposizione e la promozione di prodotti commerciali. Photographic Currency è un atto performativo basato su fotografie esistenti. Non solo fa rivivere design e tradizione, ma promuove il lavoro dei produttori a un pubblico più vasto, mettendoli direttamente in contatto con un nuovo mercato potenziale. 

  • Questo bassorilievo è basato su una fotografia che Hassan Efflatoun scattò perché sua figlia Inji potesse dipingerla. Inji Efflatoun (1924-1989)...

    Ibrahim and Cat for Inji Efflatoun, 2024

    brass

    26 x 28 x 1.5 cm.
    10 1/4 x 11 x 1/2 in.

    Questo bassorilievo è basato su una fotografia che Hassan Efflatoun scattò perché sua figlia Inji potesse dipingerla. Inji Efflatoun (1924-1989) è stata una pittrice di spicco e un’attivista femminista marxista.

     

    Non è noto se alla fine abbia dipinto o meno quel quadro, ma la fotografia esiste ed è stata conservata dalla sorella di Inji al Cairo fino al giorno in cui è finita tra le mani di Akram Zaatari, durante le sue ricerche in Egitto nell’ottobre 1998, entrando poi a far parte della collezione della Arab Image Foundation.

     



  • “La piega o plissettatura, come risultato del piegare e dispiegare, è la memoria del materiale”. Zaatari ha individuato le pieghe...

     The Fold, 2018 

    8 stories and 8 photographs. 

    photographic prints, text, overhead projector, dimensions variable  

    La piega o plissettatura, come risultato del piegare e dispiegare, è la memoria del materiale”. 

     

    Zaatari ha individuato le pieghe nel contenuto delle fotografie: i dettagli che ci dicono qualcosa di un’immagine, una sorta di chiave per dispiegare una fotografia. Le storie si nascondono nelle pieghe delle fotografie e si offrono al racconto appunto nel loro dispiegamento. Questa serie riporta delle storie derivate dall’osservazione delle pieghe delle fotografie. Ogni storia è raccontata attraverso una didascalia narrativa a cui è allegata una fotografia come nota a piè di pagina.  

     

    Photographs courtesy of the Arab Image Foundation 

  • Farid Haddad era un medico che praticava la pittura come hobby. Alcuni dei suoi dipinti decorano ancora le case dei...

    Venus of Beirut, 2022 

    3D routed, hand-polished Grey Bardiglio imperial

    50.5 x 50.5 x 4 cm. 

    20 x 20 x 1 1/2 in. 

    Farid Haddad era un medico che praticava la pittura come hobby. Alcuni dei suoi dipinti decorano ancora le case dei suoi discendenti in Libano. Nel 1998, nello svolgere una ricerca sul nudo, Akram Zaatari si imbatté in alcuni lucidi su cui erano stampate fotografie di donne sovrappeso nude. Gli furono regalate da George Haddad, un nipote di Farid. Dipingere nudi era considerata una delle tradizioni delle Belle Arti, rispettata in Libano, anche se era difficile trovare modelle disposte a prestarsi. Quando accadeva, le modelle potevano cavarsela facilmente, giacché nessuno avrebbe potuto riconoscerne i lineamenti e quindi la loro identità restava ignota. Ma posare nude in fotografia non era comune e sarebbe stato considerato indecoroso. Alcuni nudi di soggetti femminili prodotti da studi fotografici in Medio Oriente sono stati conservati in portfolio che venivano mostrati a clienti specifici e di mentalità aperta come pratica di un’“arte proibita” e forse venduti di nascosto. Sono rimaste in fondo agli archivi fotografici (come nel caso dell’egiziano Alban) o sono finite bruciate, come nel caso di Van Leo (Egitto). Farid Haddad deve aver scattato le sue fotografie negli anni Trenta, quando il nudo fotografico non esisteva in alcun modo, nella sfera pubblica del mondo arabo. Sarebbe stato considerato volgare e forse offensivo, sebbene non lo stesso valesse per la pittura; il dipingere nudi era una forma d’arte accettata.  

     

    Le fotografie di donne nude in sovrappeso rimangono documenti ansiosi che necessitano di riflessione, attenzione e contestualizzazione quando vengono utilizzati, soprattutto se esposti al grande pubblico in un’epoca e in una geografia lontane. Potrebbe esserci un problema etico in una richiesta del genere a una sex worker da parte del suo medico, che avrebbe potuto essere accettata nella Beirut degli anni Venti e Trenta, ma non oggi. Inoltre, potrebbero esserci stati dei termini di accordo tra i due; Haddad potrebbe aver pagato la modella e potrebbe averle promesso di non usare mai, né esporre la sua fotografia, ma di farne uso solo allo scopo di realizzare un dipinto. In altri termini, queste fotografie non sono state scattate per essere mostrate, ma per essere utilizzate come riferimento nella realizzazione di un dipinto.  

     

    Nel 2018, Zaatari ha utilizzato questo lucido come parte del suo lavoro intitolato The Fold, dove il lucido è stato collocato su un proiettore, suggerendo che potrebbe essere stato pensato per essere proiettato. Nel 2022 Zaatari ha deciso infine di usare questa fotografia come riferimento per realizzare un bassorilievo che catturasse quella storia e la raccontasse, senza rivelare l’identità della sex worker, e dandole un nome.  

  • La serie YM è una serie di sei dipinti che rappresentano mappe diagrammatiche del Mar Mediterraneo (YM in fenicio) quale...

    [ʾRṢ YM] Sea Land, 2024

    ink and cotton thread on mulberry paper

    36.6 x 60 cm.
    14 1/2 x 23 1/2 in.

    La serie YM è una serie di sei dipinti che rappresentano mappe diagrammatiche del Mar Mediterraneo (YM in fenicio) quale luogo di diffusione dell’alfabeto, di scambio culturale, commerci, immigrazione e violenza.
     
    I dipinti sono distribuiti nei diversi spazi della mostra e costituiscono un filo conduttore tra le diverse opere. Tutti recano titoli in fenicio che hanno lo stesso suono e significato in arabo, spesso tradotti in inglese. 
  • [BL ʿT BL KTBT BL ʾDM] Before Time Before Alphabet Before Adam, 2024
    ink on mulberry paper
    36.6 x 60 cm.
    14 1/2 x 23 1/2 in
  • Nel corso dei secoli, intorno al bacino del Mediterraneo, si è gradualmente andata formando una comunità. Molti non percepiscono che...

    Nel corso dei secoli, intorno al bacino del Mediterraneo, si è gradualmente andata formando una  comunità. Molti non percepiscono che per la maggior parte della storia antica sia stato molto più sicuro e veloce viaggiare via mare, anziché via terra. Il Mediterraneo, in quanto sito, è stato dunque testimone di enormi movimenti fin dall’antichità. È così che i Cananei del Mediterraneo orientale hanno diffuso il loro alfabeto fonetico, noto come scrittura fenicia, ovunque sbarcassero per commerciare. Nel medesimo modo le persone hanno migrato per scelta, e sono state sfollate con la forza. Il Mediterraneo è stato, al tempo stesso, luogo di trasporto, guerra e turismo; e anche, nel caso dell’immigrazione clandestina, luogo di morte. Mediterranean Ruins immagina un futuro post-apocalittico in cui il mare è un terreno solido e continuo senza acqua. 

  • Akram Zaatari vive e lavora a Beirut, in Libano. Tra le mostre recenti ricordiamo: Against Photography. An Annotated History of...

    Akram Zaatari vive e lavora a Beirut, in Libano. Tra le mostre recenti ricordiamo: Against Photography. An Annotated History of the Arab Image Foundation, Sharjah Art Foundation, Sharjah, UAE (2019); The Script, New Art Exchange, Nottingham, Inghilterra (2018); The Fold, Contemporary Arts Center, Cincinnati, OH (2018); Letter to a Refusing Pilot, Moderna Museet, Malmö, Svezia (2018); Against Photography. An Annotated History of the Arab Image Foundation, MACBA, Barcellona, Spagna (2017); riproposta presso K21, Düsseldorf, Germania (2018); Museum of Modern and Contemporary Art, Seoul, Corea (2018); Double Take: Akram Zaatari and the Arab Image Foundation, National Portrait Gallery, Londra, Inghilterra (2017); This Day at Ten, Kunsthaus Zürich, Zurigo, Svizzera (2016); Unfolding, Moderna Museet, Stoccolma, Svezia (2015); Akram Zaatari: The End of Time, The Power Plant, Toronto, Canada (2014); Padiglione Libanese alla 55esima Biennale di Venezia, Venezia, Italia (2013); Projects 100: Akram Zaatari, Museum of Modern Art, New York (2013); This Day at Ten / Aujourd’hui à 10, Magasin Centre National d’Art Contemporain de Grenoble, Francia (2013); Tomorrow Everything Will be Alright, MIT List Visual Arts Center, Cambridge, MA (2012); The Uneasy Subject, MUAC, Messico (2012); Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y Leon, Spagna (2011).   

     

    Inoltre, le opere di Zaatari hanno partecipato alla Biennale di Sharjah 14, Sharjah, Emirati Arabi Uniti (2018); alla 12° Biennale di Istanbul, Istanbul, Turchia (2011); alla Triennale di Yokohama, Yokohama, Giappone (2014); alla 55° e 52° Biennale di Venezia, Venezia, Italia (2013 e 2007); dOCUMENTA (13), Kassel, Germania (2012); 27a Biennale di San Paolo, San Paolo, Brasile (2006); 6a Biennale di Gwangju, Gwangju, Corea del Sud (2006); e alla 15a Biennale di Sydney, Australia (2006).   

     

    Le opere di Zaatari sono presenti nelle collezioni del Centre Pompidou, Parigi, Francia; Louis Vuitton, Parigi, Francia; Bristol Museum & Art Gallery, Bristol, Inghilterra; Tate Modern, Londra, Inghilterra; MCA Chicago, Chicago, IL; Guggenheim Museum, New York, NY; Museum of Modern Art, New York, NY; Hammer Museum, Los Angeles, CA e Walker Art Center, Minneapolis, MN. 

  • Per richieste di informazioni sulla mostra e sulle vendite si prega di contattare: Clare Morris clare@thomasdanegallery.com


    Per richieste di informazioni stampa si prega di contattare: Patrick Shier: patrick@thomasdanegallery.com